La me diciassettenne che entrò in contatto con questo film era già una cinefila, in grado di apprezzare i parallelismi nella struttura di Velvet Goldmine e Citizen Kane che gli fa da traccia. Eppure, fui spazzata via dagli immaginari visionari e dalle esperienze sensoriali ricchissime che Haynes intesse. Ancora oggi, la raffinata cura nostalgica per la ribellione e l’immersione nella decadenza di una celebrità inafferrabile non abbassano la temperatura emotiva, sentimentale e sensuale del film, che si nutre anche di una struttura musicale di grande impatto. A questo si aggiungono le performance esaltanti di un cast giovane e travolgente: la problematicità del soggetto moderno messa in scena da Orson Welles nel 1941 diviene la rifrazione perpetua di soggettività queer, impegnate in un turbinio erotico che non dimentica la lezione del melodramma hollywoodiano, sempre caro a Haynes. Insomma, Velvet Goldmine non smette di alimentare una passione che non potrà che durare per tutta la vita.